La distrofia di Duchenne è una malattia degenerativa che provoca una lenta ma progressiva perdita di tessuto muscolare scheletrico (sostituito gradualmente da tessuti adiposi e connettivo/fibroso) e una conseguente condizione generale di debolezza. Esordisce abitualmente tra i 2 e i 4 anni di età, manifestandosi con difficoltà motorie soprattutto nella corsa, nel salto, quindi nel cammino, nel fare le scale e nell’alzarsi da terra.
La debolezza muscolare progredisce col tempo e, sebbene in ogni individuo sia possibile un diverso andamento clinico, in linea di massima il cammino viene perso entro i 12 anni, più tardivamente nei casi rispondenti alla terapia steroidea. Successivamente il difetto di forza progredisce ulteriormente, coinvolgendo anche la muscolatura cardiaca e respiratoria.
Sebbene il coinvolgimento della muscolatura sia generalizzato, alcuni gruppi muscolari sono più interessati di altri e questo può determinare coinvolgimenti asimmetrici e favorire lo sviluppo di retrazioni articolari e scoliosi.
La distrofia di Becker ricalca il tipo di andamento della Duchenne ma rispetto ad essa l’esordio è più tardivo (intorno agli 8 anni) e la progressione più lenta e meno severa. Raramente viene coinvolta in modo significativo la muscolatura respiratoria, mentre resta rilevante il problema cardiaco, che costituisce spesso l’elemento determinante per la prognosi.
Le distrofie muscolari dei cingoli costituiscono un gruppo eterogeneo di malattie geneticamente determinate, coinvolgenti in maniera primitiva la muscolatura dei cingoli, sia pelvico (inferiore) che scapolare (superiore). Il decorso clinico è estremamente variabile, alcune di esse più frequentemente portano alla perdita della deambulazione autonoma con conseguente comparsa di retrazioni a livello degli arti inferiori, scoliosi ecc.; altre vanno incontro a coinvolgimento cardiaco e/o respiratorio mentre forme di minore entità permettono agli individui che ne sono affetti una quasi normale aspettativa di vita e di autonomia motoria. I sintomi correlati alla debolezza muscolare degli arti superiori, benché presenti sin dall’inizio (scapole alate), sono di solito più tardivi. È opportuno che i pazienti con distrofie dei cingoli si sottopongano periodicamente a controlli cardiaci e respiratori presso centri specializzati.
La distrofia facio-scapolo-omerale (FSH) può essere già ben evidente fin dalla prima infanzia con sintomatologia completa, oppure manifestarsi in età giovane-adulta, con sintomi anche molto sfumati.
Il difetto di forza e l’ipotrofia muscolare riguardano il cingolo scapolare, determinando l’impossibilità delle scapole a rimanere “fissate” al dorso con forte limitazione alla elevazione e abduzione delle braccia, e la muscolatura antero distale delle gambe per cui risulta difficile camminare sui talloni o sollevare il piede (piede cadente). Ne consegue la facilità ad inciampare, con possibilità di cadute.
A volte anche la muscolatura del bacino viene coinvolta in modo clinicamente evidente, cosicché alzarsi da terra e dalla sedia può diventare impossibile.
Caratteristico della malattia è l’asimmetria, ovvero il maggiore coinvolgimento di un emisoma rispetto al contro laterale.
Per quanto poi riguarda la muscolatura del volto, essa è coinvolta sia per la componente mimica che per quella masticatoria, con difficoltà nel chiudere gli occhi (“dorme con gli occhi aperti”), nel fischiare o nel gonfiare le gote, nel masticare, nel sorridere, ridere e quindi nell’esprimere le emozioni attraverso la mimica.
Il decorso della malattia è estremamente variabile.
L’FSH può evolvere in maniera tale da lasciare l’individuo affetto quasi privo di sintomi visibili o comunque piuttosto stabile anche per tutta la vita. In altri casi può esservi una progressione nel corso degli anni, con possibile perdita del cammino autonomo in età adulta o anziana. In altri casi ancora, quando la malattia è già conclamata e completa fin dalle fasi più precoci della vita, si assiste, con la crescita, a un declino delle funzioni motorie con perdita del cammino autonomo in giovane età.
In particolare può verificarsi la tendenza all’estremo inarcamento della schiena all’indietro (iperlordosi), come compenso allo squilibrio muscolare che si viene a creare. Può presentarsi inoltre scoliosi.
La malattia generalmente non comporta riduzione delle aspettative di vita, ma naturalmente questo dipende dall’eventuale coinvolgimento della muscolatura respiratoria o dalla presenza o meno di gravi aritmie.
Nella distrofia miotonica di Steinert il coinvolgimento della muscolatura è evidente soprattutto nei distretti distali (avambraccio, mano, gamba e piede) e nei muscoli mimici del volto, con riduzione dei movimenti dell’espressione del viso e abbassamento delle palpebre (ptosi). È comunque interessata tutta la muscolatura scheletrica, con debolezza generalizzata e facile affaticabilità. Comune è la debolezza dei muscoli estensori del collo, con l’atteggiamento della “testa cadente”.
Di rilievo le problematiche sistemiche, soprattutto cardiologiche, è possibile lo sviluppo di insufficienza respiratoria, con segni di ipoventilazione notturna, e la presenza di problematiche neuropiscologiche-psichiatriche.
La miotonia si manifesta con difficoltà a iniziare il movimento o con difficoltà a lasciare un oggetto dopo averlo afferrato a causa di ritardo nel rilassare la muscolatura dopo la contrazione, ed è peggiorata dal freddo.
L’esordio della malattia è variabile e può coinvolgere diversi sistemi.
Nei casi neonatali il bambino ha gravi problemi motori e respiratori, ha difficoltà ad alimentarsi e spesso necessita dell’aiuto di un respiratore. Se supera i primi mesi critici, lo sviluppo cognitivo e motorio è comunque significativamente compromesso.
Nei casi infantili vi è un ritardo dell’acquisizione delle capacità motorie (in genere con inizio della deambulazione oltre i due anni) e psichiche (ritardo della parola, alterazioni comportamentali).
Nei casi adulti, infine, il primo segno è in genere la miotonia, evidente soprattutto alle mani; inoltre possono essere presenti difficoltà a correre, con cadute improvvise e facile stancabilità.
In rari casi l’esordio è caratterizzato da disturbi cardiaci e respiratori, soprattutto quando la miotonia è lieve e sottovalutata.
Le distrofie muscolari congenite sono un gruppo di malattie clinicamente eterogenee, che esordiscono abitualmente entro il primo anno di vita.
I quadri clinici vanno da forme severe ad altre più lievi, compatibili con una normale aspettativa di vita.
Clinicamente sono in genere presenti i cosiddetti segni “di richiamo”, ovvero quei segni che tradizionalmente sono i primi a rendersi manifesti, comparendo prima del primo anno di età. Si tratta di tre gruppi di sintomi, che possono ritenersi rivelatori di una distrofia muscolare congenita: primo tra tutti è la sindrome miopatica, caratterizzata da forte ipotonia che interessa particolarmente i muscoli flessori del collo e del tronco. Essa si accompagna ad una debolezza muscolare responsabile di un ritardo nelle acquisizioni posturali e nell’autonomia motoria.
Seguono i problemi ortopedici, i quali sono direttamente la conseguenza della sindrome miopatica, ma possono anche essere in primo piano, soprattutto nel caso di una sindrome di immobilismo fetale o artrogriposi. Infine queste malattie possono manifestarsi con dei segni di interessamento centrale, che vanno da un ritardo psicomotorio ad un’encefalopatia grave.
È frequente che questi diversi sintomi siano associati tra loro, ma spesso, almeno all’inizio, è un unico gruppo di segni che risalta.
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